Lo scorso 24 maggio la rete Capovolti, raggruppamento di cooperative ed enti (compresa Confcooperative Campania), ha promosso #perchisimescola, giornata di dibattito e di confronto sull’Agricoltura sociale. Capovolti, difatti, sta lavorando per creare una Fattoria sociale, impiegandovi soggetti svantaggiati, e per accrescere il dialogo interistituzionale.
Pubblichiamo la nota di Francesco Napoli, psicologo clinico e psicoterapeuta, direttore della rete.
“Come auspicavo nel presentare l’iniziativa, #perchisimescola è stata innanzitutto un’esperienza, prima ancora che un convegno. Un’esperienza intensa di impegno per tutto lo staff del progetto Capovolti che ha saputo mettere in campo tutte le sue energie migliori, tutta la sua creatività, tutta la sua passione per offrire a tutte e tutti un momento di confronto e di condivisione ampio e alto.
Intendevano riflettere insieme sullo stato dell’arte dei modelli e delle strategie di inclusione sociale delle persone con disabilità mentale. Lo abbiamo fatto a modo nostro, capovolto, a partire dalla centralità degli strumenti e delle innovazioni, puntando dritto lo sguardo al mondo dell’Agricoltura sociale e delle Fattorie Sociali quali luoghi di comunità e di relazioni, in cui alla logica del profitto si sostituisce la logica del lavoro; in cui l’economia diventa bene condiviso e sostentamento per ciascuno.
Lo abbiamo fatto coinvolgendo il mondo della scuola, delle professioni, della cooperazione, delle istituzioni che hanno a cuore la tutela dell’ambiente, la valorizzazione delle risorse del territorio, le buone pratiche di solidarietà, prossimità coniugate allo sviluppo economico del territorio dentro la logica dell’impresa sociale.
Tutti interventi preziosi quelli di Giuliano Ciano, di Marco Di Stefano, di Titti Ficuciello, di Alesssandro Turchi, di Carlo Mitra, di Gerardo Calabrese. Emergeva forte e chiaro il bisogno di ri-pensare strategie condivise dentro un presupposto, certo ambizioso, ma non impossibile. L’agricoltura, le fragilità, l’economia, la tutela dell’ambiente, la formazione dei giovani, la costruzione di una nuova classe dirigente, la valorizzazione dei territori non sono questioni distanti tra loro, ma possono essere parte di un unico percorso, trasversale negli ambiti ma orizzontale nell’impatto sulla comunità.
Il coinvolgimento di giovani professionisti e ricercatori che hanno partecipato al premio indetto in occasione del convegno è stato per noi tutti un altro momento intenso di confronto con temi spesso scottanti, ma anche ci ha restituito l’evidenza di un tessuto professionale e della ricerca pronto a rispondere agli appelli del territorio e pronto a mettersi in gioco per migliorare e innovare i nostri modelli di intervento.
Infine, la Tavola rotonda e i laboratori che insieme abbiamo vissuto, ci danno da un lato lo spaccato di criticità legate a logiche di potere e controllo, a logiche di lobby consolidate, a logiche di interessi particolari e di scelte politiche che impattano sull’uso delle risorse economiche determinando scelte e conseguenze. Dall’altro si è manifestata tutta la volontà di recuperare spazi di autonomia da parte del Terzo Settore e del mondo delle professioni, immaginando di uscire dalla logica dello scontro o, peggio, della delega con l’istituzione provando a costruire alleanze orizzontali, che investano diversi modelli di rete – da quelle associative a quelle informali, dalla cooperazione al profit – per realizzare una trama territoriale entro cui trova spazio il dialogo con l’istituzione, ma dove vie una diretta e partecipata responsabilità che non ammette attese e non ammette assenze.
Di questo momento di confronto e crescita ringrazio Patrizia Stasi, Gianluca De Martino, Carlo Noviello, Nello De Martino, Alessandro Iagulli. Anche così costruiamo, insieme, Capovolti.
Avevo dedicato questo primo convegno Capovolti a Francesco Mastrogiovanni, ucciso proprio dal modello medicalizzato e disciplinare della salute mentale, ucciso ancor prima dallo stigma, dal pregiudizio, dalla paura del diverso che ancora e sempre dobbiamo contrastare.
Credo che, grazie all’aiuto e alla partecipazione di tante e tanti, abbiamo reso il giusto ricordo ad una vittima del “manicomio invisibile” che ancora aleggia tra servizi e territori. Credo che siamo riusciti ad affermare, con il nostro stile leggero ma anche determinato e radicale, che noi immaginiamo spazi altri, spazi dove fragilità e risorse si possano mescolare, dove profit e no profit diventano gambe su cui cammina e cresce una comunità più solidale, una comunità a misura di ciascuno”.